C'è una bomba al Centennial Park. Avete solo trenta minuti di tempo. Il mondo viene così a conoscenza di Richard Jewell, una guardia di sicurezza che riferisce di aver trovato il dispositivo dell'attentato dinamitardo di Atlanta del 1996. Il suo tempestivo intervento salva numerose vite, rendendolo un eroe. Ma in pochi giorni, l'aspirante alle forze dell'ordine diventa il sospettato numero uno dell'FBI, diffamato sia dalla stampa che dalla popolazione, assistendo al crollo della sua vita.
Anno: 2019
Regia: Clint Eastwood
Attori: Sam Rockwell, Olivia Wilde, Jon Hamm, Kathy Bates, Paul Walter Hauser, Nina Arianda, Ian Gomez, Deja Dee, Wayne Duvall, Mike Pniewski, Mitchell Hoog, Niko Nicotera, Billy Slaughter, Dylan Kussman
Paese: USA
Durata: 129 min
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Sceneggiatura: Billy Ray
Fotografia: Yves Bélanger
Montaggio: Joel Cox
Musiche: Arturo Sandoval
Produzione: 75 Year Plan Productions, Appian Way, Misher Films, The Malpaso Company, Warner Bros.
Recensione:
Data di uscita in Italia :16 gennaio
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Voto: 8,5/10
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Genere🎬: drammatico
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Pro🔝: Atlanta, Olimpiadi 1996. Durante una manifestazione al Centennial
Olympic Park, la guardia di sicurezza Richard Jewell trova una bomba e riesce ad
evitare una strage. Richard ha trentaquattro anni, vive con la madre, è sovrappeso,
soffre di diabete e da poco ha perso il posto come vicesceriffo della contea. Il
momento che avrebbe potuto consacrarlo come eroe nazionale, diventa invece
l’inizio di una parabola discendente. Secondo l’FBI e i media, Jewell, uomo che
dalla vita ha ricevuto meno di quanto abbia dato, corrisponde perfettamente al
profilo dell’attentatore per fama.
«Basta un po’ di potere per fare di una persona un mostro». Questa battuta
pronunciata dall’avvocato Watson Bryant (memorabile performance di Sam
Rockwell), nonostante venga pronunciata all’inizio della pellicola, sembra
racchiudere la morale dell’intero caso Jewell. La contrapposizione è tra un uomo
onesto che compie bene il suo lavoro e il governo che abusa del proprio potere,
insieme alla stampa, per creare una storia fittizia utile solo a distruggere la
reputazione di un eroe americano e a mascherare l’inefficienza dei federali stessi.
Ancora una volta, come in Sully, l’individualismo si trova costretto a scontrarsi
con la macchina del potere.
L’obiettivo principale di Eastwood in questa pellicola è riscattare Jewell e
denunciare la facilità con cui in America le storie vengono costruite e vendute per
trovare a tutti i costi, a seconda dei casi, lo scoop o il colpevole. Per riuscirci era
necessario che il regista scomparisse per lasciare spazio ai suoi personaggi. Come
di consueto nella sua cinematografia, Eastwood è guidato dalla volontà di
documentare la realtà dei fatti limitando i preziosismi nelle riprese che, non per
questo, risultano prive di pathos: nei momenti immediatamente successivi
all’esplosione, per esempio, le inquadrature si abbassano al livello della
sanguinante folla in ginocchio, quasi a portare lo spettatore all’interno di quel
momento così concitato e renderlo partecipe della loro sofferenza.
Se la storia (quella vera) di Richard Jewell arriva al pubblico con una
potenza inaudita, il merito è, soprattutto, delle performance attoriali. Il
protagonista è interpretato da Paul Walter Hauser, un nome assolutamente nuovo
che riesce a prendersi la scena con una recitazione sopra le righe e alcune battute
del copione che lo delineano come un bonaccione un po’ ingenuo a cui non si può
non voler bene. Attrice già avvezza ai riflettori di Hollywood è la pluripremiata
Kathy Bates, nei panni della madre di Richard; la candidatura all’Oscar come
migliore attrice non protagonista è il meritato riconoscimento ad una performance
memorabile.
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Contro❌: In America la pellicola è stata accolta dalla critica con qualche
freddezza di troppo dovuta alla rappresentazione dei cattivi nel film: Eastwood si
scaglia a briglie sciolte contro l’inettitudine del FBI e la falsità della macchina
mediatica ma tutti i personaggi che rappresentano queste istituzioni sono preda
degli stereotipi e di tutto ciò che è contrario all’indole buona di Richard Jewell.
La giornalista Katy Scruggs, interpretata da Olivia Wilde, è il classico
stereotipo di donna che ha fatto carriera con aiuti e favori, gentilmente concessi
in cambio del proprio corpo contro cui le femministe sono ancora costrette a
battersi. È proprio il momento in cui la Scruggs chiede all’agente Shaw
informazioni sulle indagini in cambio di un rapporto, ad essere sotto la lente di
ingrandimento di critica e pubblico. Il giornale in cui scriveva e un’autorità come
Vanity Fair hanno preso le parti della giornalista, chiarendo che non ci sono prove
della veridicità di ciò che viene raccontato nel film. Certamente Eastwood non
aveva la sicurezza che ciò fosse davvero accaduto e ha strumentalizzato il
personaggio per enfatizzarne gli aspetti negativi, il che risulta essere moralmente
ingiusto già solo per il fatto che la giornalista, morta nel 2001, non è più in grado
di difendersi.
In un’opera che racconta di una storia vera, il confine tra realtà e finzione
cinematografica è più labile del solito e la contaminazione tra questi mondi a volte
può creare questo genere di polemiche. I giudizi di ordine morale non possono e
non devono tuttavia influire in alcun modo sul giudizio riguardo la qualità di un
film; l’approssimazione con la quale sono tratteggiati i personaggi negativi è però
sotto gli occhi di tutti e finisce per rappresentare l’unica macchia in un progetto
che riesce, grazie ad una regia essenziale ma efficace e ad un cast in grande
spolvero, a fare centro negli spettatori e a descrivere ombre e luci di un’America
in cui il singolo cittadino deve guardarsi, ora più che mai, dai soprusi dei potenti.
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Recensione a cura di Matteo Angelica
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