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Luna nera | Recensione

Ambientata nel XVII secolo, un'adolescente levatrice di nome Ade scopre che la sua famiglia è composta da streghe, mentre il padre del suo amato le dà la caccia, accusando lei e sua nonna di stregoneria.



Genere:Fantasy

Ideatore:Francesca Manieri, Laura Paolucci, Tiziana Triana

Attori:Antonia Fotaras, Giada Gagliardi, Adalgisa Manfrida, Manuela Mandracchia, Lucrezia Guidone, Federica Fracassi, Barbara Ronchi, Giorgio Belli, Gloria Carovana

Anno:2020

Paese:Italia

Produzione:Fandango

Durata:43 min

Stato:In produzione


Recensione:

Data di uscita in Italia 🗓️: 31 gennaio 2020

Voto: 6,5/10

Genere📽: fantasy

Pro🔝: Produzione Netflix completamente italiana, tratta dai romanzi di Tiziana

Triana, La Luna nera racconta le vicende della sedicenne Ade, la cui nonna viene accusata di stregoneria dalla moglie di Sante, capo dei Beneandanti (un gruppo militare che combatte le presunte streghe) di un ignoto paese italiano del diciassettesimo secolo. Ade dovrà occuparsi del fratellino facendo i conti con l’ignominia dei suoi compaesani e, quasi come promessa di un bene futuro, con l’amore nei confronti del figlio di Sante, Pietro.

Quando si renderà conto di sentire delle voci, inizierà per lei un percorso di autocoscienza e di crescita che porterà a numerosi colpi di scena ben cadenzati e coerenti per tutta la durata della serie.

Sin dalle prime battute, a saltare all’occhio è una regia che decide di non restare

anonima con i canonici campo e controcampo, distinguendosi bensì con numerosi

movimenti di macchina perlomeno audaci per una produzione televisiva. Anche le

inquadrature riescono a colpire per la loro capacità di mostrare lo stesso soggetto da

numerose angolazioni e, più che un capriccio estetico, risulta invece una scelta volta a

trasmettere sia la confusione di un adolescente che deve scoprire se stessa, sia una

frammentazione della morale che va di pari passo a quella dei punti di vista. Il conflitto

netto è tra ragione e superstizione, scienza contro fede e, in effetti, ciò che rende

affascinante questa produzione Netflix è che nessuna delle due sembra prevalere

sull’altra: Pietro, studente di medicina è ispirato dalle rinnovate certezze dell’uomo

nell’età dei lumi ma queste certezze, la sicurezza della sua razionalità, dovrà cedere sotto

i colpi dell’inspiegabile di cui proprio la donna che ama è rappresentazione più palese;

Sante, d’altronde, è combattuto sui limiti entro cui è lecito agire per fede e si chiede se

non sia mosso dalla follia, dall’assenza di ragione. Spesso il comparto tecnico si occupa

di rendere metaforicamente questo conflitto tramite la luce. Gli ambienti, sia gli interni

che gli esterni, si caratterizzano per un’oscurità di fondo rischiarata spesso dal lume fioco delle candele, chiaro riferimento alla metafora illuminista. Nonostante ciò il colore

predominante, soprattutto per l’abbondanza di ambienti poveri e disadorni è il grigio, a

simboleggiare il rigore intransigente della bigotta morale cristiana.

Da apprezzare la ricostruzione di un mondo fantasy tanto affascinante quanto

misterioso e ben curato nei suoi dettagli sebbene si limiti a pochi ambienti.

Contro❌: Purtroppo il ritmo della narrazione non si mantiene sempre ai livelli

sperati e le pause tra un evento e l’altro spesso annoiano, soprattutto quando si dedicano alla storia d’amore tra Ade e Pietro: i due giovani sembrano essere attratti subito l’uno dall’altro ma la maggior parte del tempo che ci viene concesso in loro compagnia dalla sceneggiatura è destinato ad appassionati baci che lasciano poco spazio all’approfondimento del loro amore. I numerosi riferimenti al romanzo cortese, però, faranno piacere a chi conosce l’amore ben più epico tra Tristano e Isotta.

Mancano di carisma le streghe, personaggi frutto di una scrittura superficiale, e

il villain, Marzio Oreggio, di cui non riusciamo a comprendere le motivazioni che lo

spingono ad agire.

La recitazione va a fasi alterne, oscillando tra momenti in cui si mantiene accettabile e altri in cui il tono declamatorio ed enfatico della maggior parte degli attori finisce con lo spazientire lo spettatore.

Nonostante le evidenti carenze nella sceneggiatura e nella recitazione non si può

non apprezzare l’audacia di una produzione capace di dedicarsi in modo efficace ad un

genere, il fantasy, in Italia poco sperimentato; inoltre, la forza del messaggio femminista

propugnato da queste donne che devono vivere recluse, limitate da una società gerarchica e maschilista è destinata a bucare lo schermo ed arrivare dritta allo spettatore, costretto a chiedersi se la caccia alle streghe sia finita davvero.

Recensione a cura di Matteo Angelica

Grafica a cura di Matteo angelica & Giulia Federici


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