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Last night in Soho |Recensione del film di Edgar Wright che ha incantato Venezia

Aggiornamento: 6 mar 2022

Ultima Notte a Soho, film diretto da Edgar Wright, è la storia di Eloise (Thomasin McKenzie), una ragazza con una passione per la moda e grande fan, al limite dell'ossessione, di Sandy (Anya Taylor-Joy), una cantante emblema degli anni Sessanta. a Londra negli anni '60 non è sempre come appare e le cose sembrano andare a rotoli con preoccupanti conseguenze...

Data di uscita:04 novembre 2021

Genere:Drammatico, Thriller

Anno:2021

Regia:Edgar Wright

Attori:Thomasin McKenzie, Anya Taylor-Joy, Matt Smith, Diana Rigg, Terence Stamp, Synnove Karlsen, James Phelps, Rita Tushingham, Oliver Phelps, Michael Jibson

Paese:Gran Bretagna

Distribuzione:Universal Pictures

Sceneggiatura:Krysty Wilson-Cairns, Edgar Wright

Fotografia:Chung Chung-hoon

Montaggio:Paul Machliss

Produzione:Big Talk Productions, Film4, Focus Features, Working Title Films

 

Recensione:

Data di uscita in Italia 🗓️:04 novembre 2021

Voto: 8,5/10

Genere📽: thriller, horror

Presentato nel Fuori Concorso di Venezia 78, il film vede Edgar Wright tornare dietro alla macchina da presa dopo il grande successo di Baby Driver. Il regista britannico debutta al lido con una pellicola davvero sorprendente che ha ammaliato il pubblico della sala grande.

Le premesse erano sicuramente le migliori, un cast di livello e la Londra degli anni '60, cosa sarebbe potuto andare storto? "Last night in Soho" però non si adagia sull'allori bensì mette in campo il massimo potenziale ottenibile da ogni fattore. Gli attori, la musica e la trama navigano tutte all'unisono, alla massima potenza, verso la destinazione finale, l'entusiasmo dello spettatore. Il film, come accennato precedentemente, si ambienta nella Londra attuale, grigia e noiosa.

Ad essa, si contrappone la capitale Britannica degli anni sessanta, colorata intrigante e soavemente divertente. Questo dualismo che accompagna l'intera pellicola, si rafforza grazie alle due protagoniste delle due diverse "epoche", entrambe meravigliosamente brave. La prima, Thomasin McKenzie, ci trasporta nel suo disagio psichico coinvolgendo lo spettatore nell'angoscia che sta vivendo, proiettandoci nella sua indagine paranormale. La seconda, la divina Anya Taylor-Joy, ci intrattiene con il suo fascino irresistibile e con la sua voce soave. Di contorno i meravigliosi colori che, come abbiamo avuto modo di apprezzare in Baby driver, impreziosiscono le pellicole di Edgar Wright . Una lettera d’amore alla Londra, in particolar modo alla Central London dove il regista è “cresciuto” e che ha frequentato per venticinque anni, ma anche alla Soho degli anni ’60 che viene rappresentata un po’ come l’ombelico del mondo; ma anche una sorta di monito nei confronti dei sognatori che viaggiano troppo in là con la fantasia, che si spingono verso mondi proibiti senza preoccuparsi delle conseguenze delle loro azioni.

Il sogno che incontra la musica, la moda che incontra la paura, tante tematiche unite in maniera magistrale da una trama che prima ammalia e poi sorprende, tinteggiando il finale con sfumature di orrore e ansia. Un climax crescente che ci intrattiene inizialmente con delle meravigliose musiche, svegliandoci improvvisamente dallo stato di annebbiamento ritmato nel momento in cui veniamo proiettati in un thriller originale e ben strutturato. La tematica principale è sicuramente quella della violenza sulle donne, ma non viene mai citata, non viene tirata addosso allo spettatore, viene bensì percepita e vissuta in tutto il suo percorso, dalla nascita e crescita, fino al frequente, purtroppo, finale. I tormenti messi in scena da Wright sono dei veri e propri demoni privi di volto, ossessivi ed inquietanti. Affamati. Smaniosi. Perché la violenza non ha volto, un ombra, presente su ogni luce.

"Sometimes, London is too much" è la frase che viene spesso detta dai personaggi della pellicola e sulla quale penso sia giusto soffermarsi un pò. E' forse nella sua descrizione bi-tematica eccessivamente rigida che è possibile rintracciare una delle poche sbavature della pellicola. L'eccessiva ridondanza, con il parallelo rallentamento delle musiche e degli sgargianti colori, allentano la tensione e riducono l'entusiasmo guadagnato nei primi due atti. Poco prima del terzo atto, infatti, il film risulta un po' ripetitivo, anche a livello stilistico, non dimostrandosi all'altezza della prima (bellissima) parte.

Qui perde di vista il focus narrativo e di conseguenza, per un film basato molto sul valore del montaggio, ha un calo di ritmo che lo depotenzia.

In conclusione, possiamo ritenerci assolutamente soddisfatti di questo thriller, auspicando che Wright continui su questa strada accrescendo ancor di più il suo potenziale ed aprendo ad una nuova fase della sua carriera.




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