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Le strade perdute: il cinema labirintico di David Lynch

“Lost Highways” (1997) secondo la critica è il primo film, diretto da David Lynch, che inaugura la trilogia “dell’inconscio”, mai riconosciuta ufficialmente dal regista, che includerà i successivi “Mullholand Drive (2001) e Inland Empire (2006)”.

Il film che ha festeggiato nel 2022 i suoi 25 anni dall’uscita ufficiale è tornato al cinema in versione 4K restaurato dalla Cineteca di Bologna.

La pellicola attraversa diversi generi, diverse storie, a tal punto che non vi sarà una singola interpretazione finale. Il labirinto che ci propone Lynch, e di cui lui stesso è complice, porterà lo spettatore a percorre le “strade perdute”, titolo del film, faremo fatica a riordinare la nostra mente e capire qual è la vera “corsia” da intraprendere. Infatti la follia, che prende il sopravvento ci fa quasi sbandare, ci porta a destra e sinistra così da non essere mai in pieno controllo proprio come il nostro protagonista fino alla fine in cui l’ultima scena chiuderà questo cerchio, forse aperto proprio da lui stesso.


Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Francia

Anno: 1997

Durata: 135 min

Regia: David Lynch

Sceneggiatura: David Lynch, Barry Gifford

Produttore: Deepak Nayar, Tom Sternberg, Mary Sweeney

Fotografia: Peter Deming

Montaggio: Mary Sweeney

Musiche: Angelo Badalamenti

Scenografia: Patricia Norris

Cast: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Natasha Gregson Wagner, Heather Stephens, Henry Rollins, John Roselius, Lucy Butler, Lisa Boyle, Al Garret, Gary Busey, Scott Coffey, Leslie Bega, Robert Loggia, Michael Massee, Giovanni Ribisi, Louis Eppolito, Richard Pryor

Genere: Thriller/Noir


RECENSIONE


Il film racconta la storia di un sassofonista, Fred, interpretato nel ruolo della vita, probabilmente, da Bill Pullman, alle prese con una storia d’amore contorta con sua moglie, Renee (Patricia Arquette), di cui Fred dubita, sospetta di un tradimento da parte di lei, fino a sentirsi quasi umiliato quando si blocca durante i loro rapporti sessuali. I due si trovano a vivere inquietanti sorprese ogni giorno, la tensione cresce sia nelle ombre della propria casa sia nella musica, curata dal fantastico Angelo Badalamenti, purtroppo scomparso lo scorso mese. Il film porta in scena un climax pazzesco che ci porterà dritti in un’altra dimensione, i personaggi si sdoppieranno, la questione erotica non sarà più un problema, ma ci sembra di esser stati catapultati in una realtà fantascientifica.

Questa dimensione probabilmente era già stata accennata da Lynch sin dall’inizio, quando la realtà perdeva il contatto con la chiarezza d’esposizione filmica: transizioni in cui gli attori scompaiono dalla scena, ombre che quasi li catturano, videotape che mostrano azioni che né lo spettatore né il personaggio aveva mai visto fino a quel momento. Dagli occhi del “nuovo protagonista” Pete (Balthazar Getty) molte cose sono sfocate, alcuni suoni lo disturbano, sembra che egli conosca già determinate situazioni, come se le avesse già vissute. Egli, però, è completamente diverso da Fred, si mostra più coraggioso soprattutto sessualmente, sfida i ricchi potenti e possessori di donne come il personaggio di Robert Loggia, Eddy, che dapprima si dimostra un suo estimatore per il suo lavoro di meccanico per poi rivelarsi un uomo crudele, violento, minaccia con la morte alcune donne affinché abbiano dei rapporti con lui. Tra queste c’è Alice, la tentatrice, che mette Pete in una brutta situazione: vivere una relazione con lei e rischiare di poter essere anche ucciso da Eddy o godersi la stima di quello e ignorare l’irresistibile Alice.

Il film pian piano prenderà una svolta che ci farà capire come la pellicola non sia stata altro che una grande spirale, forse non ci sono nemmeno fatti antecedenti e posteriori, forse le scene sono intrecciate e convivono contemporaneamente, molti infatti sostengono che la resa cinematografica non sia altro che la teoria del Nastro di Möbius, ma a tutto ciò non vi è una risposta oggettiva. Ecco, è proprio qui che Lynch vuole arrivare, portarci alla deriva, smarrirci, ci presenta una scenografia dall’aria di una casa familiare, dove dovrebbe esserci amore tra marito e moglie, come vorrebbe lo stereotipo di “casa” e così come ce lo presenta, lo distrugge. Ci porta in un thriller erotico, dove il protagonista ha delle ossessioni maniacali che deve sfogare, ma per fare ciò dovrà compiere un lungo processo per poi poter arrivare a chiudere la trama principale. Questo thriller ha però dei tratti evidenti del cineasta del Montana, dalle scene surreali al fatto che il protagonista sia ossessionato mentalmente dalla presenza di un personaggio misterioso (Robert Blake) dal viso cadaverico, o ancora mostrificazione di volti, viaggi tra conscio ed inconscio, ecc…

Insomma, il film si apre e si chiude con la stessa scena, un auto al centro della strada che non tende a camminare in modo dritto, il paesaggio è buio, illuminato un po’ solo dai fari della macchina (con il sottofondo di "I’m Deranged" di David Bowie).

Forse Lynch ce la ripropone al termine del film per farci capire che l’uomo, lo spettatore, si limita a quello che vede nella luce, ma ciò che è avvolto nelle tenebre fa parte dell’inconscio. L’uomo si limita a vagare per “strade perdute”, perché forse quella giusta, proprio come l’interpretazione, la cronologia esatta, del film: non c’è.

Il film, dalla fotografia spaziale capace di variare tanti stili, da un montaggio che accresce sempre di più la tensione del pubblico, è un capolavoro del passato perché influenzerà e non poco il cinema contemporaneo, basti pensare alle linee temporali dei film di Christopher Nolan, i thriller dei fratelli Coen, o gli sdoppiamenti in “eXistenZ” di David Cronenberg e tanto altro ancora.




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