Wating for the Barbarians | Recensione
Un magistrato trascorre gli ultimi anni prima della pensione presso un avamposto ai confini dell'Impero, oltre i quali vivono le popolazioni nomadi definite 'i barbari'. L'arrivo dello spietato colonnello Joll rompe gli equilibri e la pace.

Anno:2019
Regia:Ciro Guerra
Attori:Mark Rylance, Johnny Depp, Robert Pattinson, Gana Bayarsaikhan, Greta Scacchi, Sam Reid
Paese:Italia
Durata:104 min
Distribuzione:Iervolino Entertainment
Sceneggiatura:J.M. Coetzee
Fotografia:Chris Menges
Montaggio:Jacopo Quadri
Produzione:Iervolino Entertainment, Ithaca Pictures
Recensione:
Data di uscita in Italia 🗓️: 24 settembre 2020
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Voto: 7.5/10
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Genere📽: Drammatico
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Pro🔝: Waiting for the barbarians, girato dal regista colombiano Ciro Guerra, è un
film storico solo nella misura in cui racconta di una vicenda ambientata
sicuramente nel passato, un passato non precisato, un dove mai espresso.
In questo omonimo adattamento del romanzo di J. M. Coetzee, una piccola
cittadina di frontiera colonizzata da un ignoto impero si trova a doversi
preparare ad un imminente invasione di alcune tribù barbare che vivono di
piccole razzie girovagando per il deserto che circonda le mura della città.
Il “magistrato”, di cui non ci viene mai detto il nome, amministra la città
per conto del governo; ha un buon rapporto con la popolazione e crede in
una convivenza pacifica con i barbari. Ad aumentare la militarizzazione
del prezioso avamposto e rompere questo fragile equilibrio sarà il
colonello Joll che adotterà da subito un atteggiamento belligerante nei
confronti dei “nemici”.
Tra gli elementi che giocano un ruolo fondamentale la fotografia è forse
uno dei più riusciti. Ad occuparsene è il premio Oscar Chris Menges che
gioca abilmente sulla dicotomia tra ampi spazi aperti come il deserto e ed
anguste celle teatri di orrori.
Il cast stellare si prende sulle spalle la pellicola con un’interpretazione
magistrale di Mark Rylance e Rober Pattinson, uno compassionevole ed
empatico, l’altro crudele e sadico. Johnny Depp invece riesce a conferire al
suo Joll delle sembianze granitiche e crudeli; il colonnello è il simbolo del
potere imperiale, fermo nelle proprie brutali convinzioni.
Il pregio più grande di questa pellicola, ereditato evidentemente dal
romanzo, è la capacità di parlare chiaramente allo spettatore.
Dall’indefinito del non-tempo e del non-luogo la barbarie dell’uomo
risuona fino all’Europa e agli Stati Uniti del ventunesimo secolo. I nostri
politici, proprio come il colonnello Joll, sono abili nel manipolare la
popolazione, ad aggiogarla allo stendardo della paura del diverso che si
concretizza nelle muraglie ai confini con il Messico o con la chiusura dei
porti.
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Contro: Il problema principale del film è rappresentato dal ritmo fin troppo
cadenzato: si indugia spesso in scene contemplative e in campi lunghi che
rallentano il tempo della narrazione provocando una lieve noia nello
spettatore.Altra nota di demerito la prevedibilità dell’intreccio che risulta troppo
scontato, contribuendo alla passività di chi guarda. Un contro solo a metà la contrapposizione fin troppo semplice tra bene e male, chi ha tratti umani e chi invece non prova nessuna pietà; a metà perché, alla fine della visione, esiste chi non è soggetto a questa resa manichea della realtà. Un film da vedere, capace di inscrivere una riflessione sulla civiltà contemporanea nei toni misteriosi e dilatati di una favola sulla molteplice natura dell’uomo.
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Recensione a cura di Matteo Angelica
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Grafica a cura di Giulia Federici
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