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Vertigo - La donna che visse due volte | Recensione

Un ex poliziotto di San Francisco, terrorizzato dalle altezze, si innamora della donna che deve proteggere, ma le apparenze nascondono la realtà.



Regia:Alfred Hitchcock

Attori:James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Tom Helmore, Henry Jones, Raymond Bailey, Ellen Corby, Konstantin Shayne, Lee Patrick, Paul Bryar

Paese:USA

Durata:128 min

Distribuzione:Paramount Pictures

Sceneggiatura:Alec Coppel, Samuel A. Taylor

Fotografia:Robert Burks

Montaggio:George Tomasini

Musiche:Bernard Herrmann

Produzione:Alfred Hitchcock Productions, Paramount Pictures


Recensione:

Data di uscita in Italia 🗓️:22 gennaio 1959

Voto: 10/10

Genere📽: Drammatico, Giallo, Thriller

Pro🔝: Scottie Ferguson, ormai ex agente di polizia, soffre di vertigini dopo la morte di un suo collega in seguito ad una caduta. Senza niente di meglio da fare, decide di investigare per conto di un amico sui i movimenti della moglie Madelaine, interpretata dalla bellissima Kim Novak. La donna sembra essere posseduta dal fantasma di Carlotta Valdes, una sua antenata morta suicida un secolo prima. Scottie ci metterà poco a “farsi prendere” dal suo lavoro e tra i due nascerà un’intensa storia d’amore, destinata ad essere sconvolta di lì a poco. Il termine vertigine non indica solo la paura dell’altezza ma anche, in senso figurato, uno stato mentale in cui tutto sembra essere “engulfed in a whirpool of terror”, avvolto da una spirale di terrore. Veniamo qui a due dei temi fondamentali del film, la paura e la spirale, che sembra guidare i personaggi tra avvolgimenti e ripiegamenti di significati tra cui sarà difficile districarsi. Scottie è un ispettore, eppure sembra capire poco di quello che succede intorno a lui, risucchiato com’è dal suo di vortice, quello della passione e quello della vertigine, sentimenti e paure che sembrano scorrere in parallelo fin quando non s’intersecheranno e costringeranno il protagonista a combattere l’una per salvare l’altra. Invece Madelaine ha a che fare con l’irresistibile e fatale attrazione esercitata nei suoi confronti da Carlotta, si acconcia come lei e cerca di ricostruirne la storia per ripercorrerne le orme. Di chi s’innamora Scottie, di Madelaine o del suo riflesso? Quello appena descritto è solo il primo livello della spirale che coinvolge i personaggi e che si ripiegherà ancora in seguito a un efficace colpo di scena di cui eviterò di parlare per evitare spoiler, ma il titolo parla chiaro: la donna che visse due volte. Vi basti questo primo livello di analisi per intuire la complessità del meccanismo strutturale messo su da Hitchcock, al quale sopraggiunse un problema al momento di trasporre su schermo l’opera tratta dal romanzo, scritto apposta per ammaliare lo stesso regista inglese, da Narcejac e Boileau: gli scrittori posero la rivelazione dell’intero meccanismo narrativo alla fine del romanzo (scelta di un giallo classico) mentre Hitchcock decise di anticiparne le tempistiche pur suscitando il disappunto dei suoi assistenti, come racconterà nella famosa intervista a Truffaut; l’effetto della suspense generato da questa modifica strutturale gli darà ragione. Il senso di vertigine accusato da Scottie non poteva restare confinato al contenuto. Per aumentarne l’efficacia, lo spettatore doveva avere una percezione visiva dell’effetto e solo un regista geniale come Hitch poteva inventarsi un nuovo movimento chiamato dolly zoom o, da quel momento, effetto vertigo che consiste nella combinazione di uno zoom in avanti seguito da una carrellata indietro. Lo stratagemma si rivelò funzionale non solo a raccontare una paura altrimenti difficilmente comunicabile ma anche ad aumentare il livello di tensione delle inquadrature. Non a caso l’effetto Vertigo venne ripreso da Spielberg per alcune sequenze de Lo squalo. Altro elemento che ha consacrato questa pellicola nell’olimpo del cinema è l’uso dei colori. C’è il blu cupo e profondo, instabile come la paura del protagonista; c’è il rosso, colore dell’ossessione e della passione amorosa. Ma a sovrastare su tutti gli altri è il verde. Il colore della speranza ritorna in diverse scene, ad esempio è verde il vestito con il quale ci viene presentata per la prima volta Madelaine, verde è anche la sua auto e fin qui la sua funzione è quella di presentare l’ingresso in scena del personaggio interpretato dalla Novak. Capiremo che la speranza in questo film non ha spazio quando il verde verrà usato per avvolgere di un’atmosfera onirica e spettrale allo stesso tempo la visita di Madelaine alla tomba di Carlotta Valdes, configurandosi, da quel momento in poi, anche come presagio mortifero. Lo ritroveremo, ad esempio, nel fiume che scorre sotto il rosso Golden Gate Bridge di San Francisco. La mia attitudine critica è stata completamente soverchiata dalla maestria di Hitchcock, qui più che mai maniaco della perfezione, che non lascia niente al caso. In Vertigo ogni tassello va al proprio posto, ogni perizia tecnica è funzionale a comunicare qualcosa della storia allo spettatore e il puzzle finale che ne viene fuori è una delle più belle metafore sull’amore di due anime compresenti ma eternamente distanti, una disanima delle più profonde paure dell’uomo e un’ indagine su quanto sia labile il confine tra verità e sogno, identità e alterità.

Recensione a cura di Matteo Angelica

Grafica a cura di Giulia Federici

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