Resistence - La voce del silenzio | Recensione
La storia di un gruppo di giovani che collaborò con la Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. Tra essi, il celebre artista Marcel Marceau, ebreo ortodosso il cui vero nome era Marcel Mangel.

Regia:Jonathan Jakubowicz
Attori:Jesse Eisenberg, Clémence Poésy, Matthias Schweighofer, Félix Moati, Géza Röhrig, Bella Ramsey, Edgar Ramirez, Ed Harris, Alicia von Rittberg, Karl Markovics, Vica Kerekes
Paese:Francia, USA, Gran Bretagna, Germania
Distribuzione:Vision Distribution
Sceneggiatura:Jonathan Jakubowicz
Montaggio:Alexander Berner
Musiche:Angelo Milli
Produzione:Pantaleon Films / Bliss Media (in association with)/ Epicentral Studios/ Riverstone Pictures
Recensione:
Data di uscita in Italia 🗓️: 27 marzo 2020 (Poi rimandato)
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Voto: 7/10
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Genere📽: Guerra, Biografico, Drammatico
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Pro🔝: La pellicola si apre nel bel mezzo della notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la notte che in Germania passerà alla storia come “notte dei cristalli”. Il punto di vista iniziale è di una ragazzina ebrea appena dodicenne di nome Ecbeth che assiste all’omicidio dei suoi genitori per mano della brutalità dei giovani hitleriani. È così che lei e un altro centinaio di orfani verranno trasferiti in Francia, a Strasburgo, dove troveranno la protezione di un gruppo di volontariato all’interno del quale figura anche il protagonista del film: Marcel Mangel, poi passato alla storia come Marcel Marceau, il più grande mimo del Novecento.
Macellaio di famiglia ma aspirante attore, Marcel trova nell’arte una via di fuga
individualistica ma, quando gli orrori della guerra lo metteranno in contatto con quei
bambini che in una notte avevano perso tutto, capirà che l’arte assume un valore ancora
maggiore se messa a servizio degli altri. L’arte del mimo si contraddistingue per il ricorrere al silenzio e alla gestualità al fine di ricreare un mondo alternativo che nessuno riuscirebbe a vedere senza questo curioso intermediario dal volto in bianco. A proposito del silenzio, il sottotitolo del film ci dice chiaramente che quel silenzio non è fine a sé stesso: attraverso il silenzio si veicola una voce che si propone di percorrere una strada divergente rispetto al rumore delle pistole naziste da cui è partito il film, una strada che vuole resistere agli orrori del mondo rifiutando la vendetta e il “dente per dente”. Il compito di Marcel sarà insegnare a quei bambini che l’arte riesce a creare un fiore laddove tutti non vedono altro che morte e distruzione. Il film riesce a trasmettere con forza questi messaggi attraverso una disposizione contrappuntistica degli eventi: a scene di estrema crudezza in cui non ci vengono risparmiati gli efferati crimini di cui si è macchiato il nazismo, si alternano momenti che “resistono” tramite la speranza e il sorriso. Nota lieta anche la performance di Jesse Eisenberg (già nominato all’Oscar per aver interpretato Zukenberg in The Social Network) che in questo caso riesce con efficacia in una complicata interpretazione metateatrale. La regia di Jakubowicz è abile nel mantenersi asciutta ed essenziale per non appesantire inutilmente una storia che non ha bisogno di orpelli stilistici per scuotere ed emozionare il suo spettatore.
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Contro❌: ciò che non permette al film di distinguersi dal novero di film sulla seconda guerra mondiale e il genocidio è sicuramente la sceneggiatura che non riesce a scavare a fondo nei suoi personaggi. Esempio perfetto di quest’imperfezione la figura del comandante della Gestapo Klaus Barbie, il boia di Lione. Il suo è il ruolo del cattivo,un ruolo piatto che gli sceneggiatori tenteranno maldestramente di sfumare attraverso delle scene che non sembrano produrre alcuna conseguenza all’interno dell’evoluzione individuale del personaggio. Nemmeno Marcel sembra sfuggire a questo difetto della pellicola che rimane nella terra di nessuno tra film storico e biopic, tra racconto resistenziale e storia individuale; il Marcel uomo nella sua interiorità viene messo da parte per dare invece spazio alla semplice sequenza delle sue azioni all’interno del movimento resistenziale.
Questo difetto non intacca la carica emotiva di una storia che andava raccontata per
mostrare come i sogni e l’arte possano nobilitare la vita dell’uomo, anche nei momenti più bui della sua storia.



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Recensione a cura di Matteo Angelica
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Grafica a cura di Matteo De Nicolò e Giulia Federici
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