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Pinocchio di Guillermo Del Toro - un'opera intima che emoziona

Guillermo del Toro reinventa il racconto di Pinocchio, personaggio creato dalla penna di Carlo Collodi. Una marionetta di legno prende vita per tentare di riparare il cuore di Geppetto, un falegname in lutto, tra incontri sinistri e avventure problematiche che avvengono in una tetra Italia in tumulto, colpita dalla seconda guerra mondiale.

Il film d’animazione, prodotto da Netflix, sarà disponibile nelle sale selezionate a partire dal 4 Dicembre e sulla piattaforma dal 9 Dicembre 2022.



Durata: 117 minuti

Genere: animazione, fantastico, musical

Regia: Guillermo del Toro, Mark Gustafson

Soggetto: dal romanzo di Carlo Collodi distribuzione: Netflix

Musiche: Alexandre Desplat

Voto recensione: 9/10


Quella del burattino è una storia che conosciamo ormai molto bene. La prima edizione del romanzo di Collodi venne pubblicata nel 1883 con il titolo “le avventure di Pinocchio”; nel corso dei decenni la vicenda venne rappresentata sul grande schermo da molteplici registi e in svariate forme, tra cui l’esemplare animazione del 1940 firmata Disney che ha fatto innamorare tutti, grandi e piccoli. Per citarne altri: ricordiamo il Pinocchio italianissimo del 2002, diretto e interpretato da Roberto Benigni, la pellicola diretta e co-prodotta da Garrone nel 2019, e infine l’opera di Zemeckis, uscita anch’essa nel 2022. Attraverso gli occhi del regista Messicano, però, la storia traspare in modo diverso, da come ce l’hanno sempre raccontata. Adattando la pellicola alla propria sensibilità, Del Toro, con il prezioso contributo di Gustafson, sceglie uno stravagante musical in stop-motion per narrare una favola tenebrosa che esce dagli schemi.


Nella sua interpretazione, Del Toro cerca di non tradire la “morale della favola” di Pinocchio ed effettivamente questo è uno dei pochi aspetti che rimane strettamente attinente al racconto di Collodi. Il burattino vuole rendere orgoglioso il suo amato Geppetto, con propositi lodevoli ed è quindi proiettato verso un percorso di formazione che effettivamente si nota. Inizialmente esuberante, a tratti quasi irritante, cerca di trovare il proprio posto nel mondo ed è alla costante ricerca di risposte e di sé stesso spinto dalla frenesia dell’essere vivo anche se inciampa durante il cammino. Viene costantemente messo alla prova, viaggia ripetutamente avanti e indietro tra il regno dei vivi e il mondo sotterraneo portando con sé un messaggio esemplare: “Pensa agli altri prima che a te stesso. Nessuno vive per sempre”.



Già dai primissimi minuti, quando il grillo parlante introduce la vicenda, appare evidente che non si tratta solamente di un “film per bambini”; si basti pensare al povero falegname straziato dalla perdita del figlio che si getta nell’alcol per trovare pace. Tilda Swinton presta la voce alla suggestiva “fata turchina” che prende il nome di “Wood Spirit” e alla sorella “Death”, ancora più inquietante. Anche i temi toccati ci portano ad una chiave di lettura differente che si sposta nel corso dei 117 minuti su diversi piani. Il significato è profondo, quasi moralista. Si parla di padri imperfetti, di figli imperfetti, di scontri, di incomprensioni e soprattutto nel tentativo di riconoscere sé stessi. Pinocchio non vuole rinunciare alla sua materialità per diventare un “bambino vero”, vuole essere accettato per ciò che è. Geniale, a parer mio, è la scrittura della colonna sonora. Come dichiarato dal compositore Alexandre Desplat la partitura è stata eseguita solo con strumenti di legno. Inoltre, nonostante la pellicola sia classificata come “musical”, le canzoni sono marginali, di breve durata e questo non smorza l'atmosfera, anzi, contribuisce, quando necessario, ad alleggerire il clima.

Guerra, morte e politica sono le 3 parole chiave necessarie per la comprensione del messaggio in bottiglia. Interessante è anche la scelta, molto audace, di trattare il tema della religiosità su cui Pinocchio si pone tantissime domande, talvolta scomode.

Sullo sfondo c’è la guerra che conferisce un alone di inquietudine tra le mura della piccola città tappezzata di manifesti del duce. È un motore importante della vicenda, oltre che una metafora molto forte riguardante il fascismo. Pinocchio finisce per diventare uno dei tanti “burattini” creati a stampo dal regime e incarna le esperienze di tutti quei giovani che vengono chiamati alle armi dal Duce, rappresentato come caricatura.



C’è una cappa morbosa che incombe sulla narrazione, causata dalle regole ferree proprie di una dittatura e dei rapporti infidi. Una cappa che si dissolverà solo quando Pinocchio imparerà la lezione dell'altruismo e della diffidenza. L’animazione, sempre stata cara al regista, è la vera ciliegina sulla torta. Nonostante sia una tecnica “antica”, dispendiosa e molto laboriosa, Del Toro decide la via dello stop-motion che si presta perfettamente per i movimenti “legnosi” del nostro burattino, tenuti insieme da un montaggio minuzioso.



Il Pinocchio di Guillermo Del Toro è un'opera intima, con una propria identità che ci guida nel tentativo di insegnarci ad apprezzare ogni frammento della vita.

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