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Midnight Mass | Recensione della nuova serie creata e diretta da Mike Flanagan

Aggiornamento: 30 set 2021

Midnight Mass” è la nuova serie creata e diretta da Mike Flanagan, uscita su Netflix il 24 settembre.

La serie racconta della piccola isola di Crockett Island e dell’accoglienza opposta che i suoi 127 abitanti riservano all’arrivo di un nuovo giovane predicatore e di Riley Flynn, un pregiudicato che dopo aver scontato quattro anni in carcere cerca di ricominciare una nuova vita. La comunità è composta prevalentemente da pescatori che passano le loro giornate tra l’oceano e la piccola chiesa di St. Patrick che scopriremo essere custode di oscuri segreti coi quali la debole natura dell’uomo dovrà fare i conti.

Anno: 2021

Regista: Mike Flanagan

Attori: Kate Siegel, Zach Gilford, Hamish Linklater, Rahul Kohli, Robert Longstreet, Michael Trucco, Kristin Lehman, Annabeth Gish

Paese: USA

Episodi: 7

Durata episodi: 1h

Distribuzione: Netflix

Sceneggiatura: Mike Flanagan, James Flanagan

Fotografia: Michael Fimognari

Genere: Horror, Thriller, Drammatico


RECENSIONE


Voto: 9


L’ultima fatica di Flanagan, a differenza delle precedenti, non prende le mosse da un romanzo di successo come The Haunting of Hill House (di Shirley Jackson) o The Haunting of Bly Manor (The turn of the screw di Henry James). In un’intervista ha dichiarato di aver lavorato per anni su questo soggetto originale e di considerare Midnight Mass come un progetto completamente indipendente. In effetti, lo si capisce abbastanza presto, Midnight Mass ha poco in comune con la serie delle infestazioni. Intanto, il luogo in cui si svolge la vicenda è un’isola intera e non più un ristretto maniero fatiscente in cui sguazzano i fantasmi; conseguenza più diretta di ciò è la mole di personaggi che conosceremo durante la serie, un vero e proprio microcosmo regolato da regole a sé stanti. Flanagan getta davvero tanta carne al fuoco e se dovessimo trovare un’incrinatura nel suo lavoro forse si tratterebbe dell’eccessiva lentezza con cui entriamo in contatto con il nucleo della storia. Il tempo della narrazione è molto diluito all’interno dei sette episodi da un’ora che compongono la serie, ma l’attesa iniziale è senza dubbio ripagata da un finale in crescendo che di sicuro non avrebbe avuto lo stesso impatto se, sin dall’inizio, non ci fossimo presi il tempo per conoscere questa pittoresca comunità cristiana.

La voce narrante onnisciente e retrospettiva rispetto ai fatti lascia il posto ad una storia che si fa avanti gradualmente attraverso i dialoghi tra i personaggi, la vera perla dello show targato Netflix. Ogni scambio di battute è volto ad esaurire una sfumatura in più dei vari Riley Flynn, Erin Greene, Bev Keane, lo sceriffo Hassan ecc… Dopo ogni dialogo lo spettatore è capace di inserire una tessera in più in un puzzle dalle tinte grottesche, pieno di luci, ombre ed ipocrisie. Dal punto di vista visivo i dialoghi sono spesso accompagnati da uno zoom che valorizza l’ottima prestazione attoriale di tutto il cast ma che soprattutto costringe noi e loro a fare i conti con le parole che sentiamo: l’identità di ciascuno di loro è racchiusa nella loro voce ma solo noi, spettatori esterni della loro vita, possiamo accorgerci che lo zoom non è altro che un progressivo ingabbiare il personaggio in un’ineluttabile prigione, un destino di dannazione a cui non possono sfuggire.

A proposito di parole è fondamentale la rilevanza che Flanagan concede al verbo divino, la Bibbia. Il libro sacro è da sempre a fondamento di qualsiasi discorso culturale riguardi il nord America ma qui diventa colonna portante della vicenda e della sua organizzazione. I sette episodi, infatti, hanno per titolo un libro della Bibbia e sono sette non a caso: Genesi, Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Vangelo, Atti degli apostoli ed Apocalisse. Sette come i giorni in cui Dio ha creato la terra, il numero perfetto. Il discorso biblico poi, diventa per il personaggio di Bev Keane la giustificazione per ogni scelleratezza di cui è testimone e parte attiva. La rimozione sistematica del male, o meglio, l’inserimento del male in un progetto divino più grande è ciò a cui assistiamo dall’inizio alla fine. La sottile linea di demarcazione che divide buoni e cattivi consiste nella consapevolezza che a volte il male esiste e non ha spiegazioni; qualsiasi tentativo giustificazionista rischia solo di rallentare e complicare quel faccia a faccia con sé stessi a cui ogni uomo giunge durante la propria vita. Personaggi come Riley ed Erin lo sanno bene.

La continuità tra questo e il resto delle serie girate dal regista statunitense riguarda sicuramente la fotografia. Sempre curata in ogni minimo dettaglio, rende il meglio di sé nelle scene più cruente che vengono rivelate da una flebile luce di candela (espediente horror sicuramente datato ma molto efficace in questo caso) e nell’episodio finale in cui vengono esplorate tutte le possibilità di una palette cromatica fino a quel momento funzionale ma piatta. Inoltre, il contrasto costante tra luce e ombra si svolge su livelli diversi: sul piano narrativo, gli eventi più importanti avvengono con il favore delle tenebre, la parte della giornata che da sempre permette alle forze del male di uscire allo scoperto, mentre il giorno è demandato al preparativo e alla routine; la battaglia tra questi due momenti rappresenta anche il peccato, oscuro quanto la selva in cui si smarrì Dante, contrapposto alla salvezza, radiosa come la sua Beatrice. Ogni personaggio dovrà fare i conti con i propri peccati per poi affrontare la salvezza o la dannazione.

Possiamo considerare Midnight Mass un vero e proprio horror? Non c’è una risposta definitiva ma chiunque può rendersi conto di come le situazioni orrorifiche rappresentino solo il culmine di un crescendo che si sviluppa su un percorso più interessato ad un’indagine sul significato della religione, sugli eccessi e l’intolleranza che troppo spesso ha come esito; sui demoni interiori più che su quelli esteriori. Una famosa citazione del maestro dell’horror Stephen King dice: «I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono». Mike Flanagan ha colto in profondità questo messaggio servendosi dell’estremismo religioso per smascherare quei demoni e portarli alla luce, lentamente ma con impavida perizia.

Il regista e sceneggiatore nato a Salem (in che altra città poteva essere nato?) colpisce ancora nel segno e questa Midnight Mass si candida ad essere una delle serie dell’anno.



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