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Georgetown | Recensione

Albrecht Muth è un misterioso tedesco che, da un lavoro come guida turistica in Washington DC, si è fatto strada divenendo il marito della stimata e benestante giornalista Elsa Brecht (interpretata da Vanessa Redgrave), un'anziana vedova di 80 anni.

Il loro matrimonio solleva sopracciglia nella società educata, ma solleva anche il sospetto della figlia della signora Brecht, il giudice federale Amanda(interpretata da Annette Bening), sconvolta dal fatto che sua madre si sia potuta innamorare di un uomo dalla dubbia reputazione e di trent'anni più giovane.



Regia:Christoph Waltz

Attori:Christoph Waltz, Vanessa Redgrave, Annette Bening, Corey Hawkins, Sergio Di Zio, Ron Lea, David Reale, Laura de Carteret, Victoria Snow, Paulino Nunes, Caroline Palmer

Paese:USA

Durata:99 min

Distribuzione:Vision Distribution

Sceneggiatura:David Auburn

Fotografia:Henry Braham

Montaggio:Brett M. Reed

Musiche:Lorne Balfe

Produzione:InterTitle Films, Metalwork Pictures, Romulus Entertainment


Recensione:

Data di uscita in Italia 🗓️: 19 maggio 2019

Voto: 6,5 / 10

Genere📽: Drammatico, Biografico, Giallo

Pro🔝: Cristopher Waltz debutta alla regia con Georgetown. Il titolo del film si

riferisce a un quartiere particolarmente facoltoso di Washington D.C. ed è

proprio qui che approda direttamente dalla Germania Ulrich Mott. Caratterizzato

da un passato non troppo chiaro, inizia la sua scalata al potere dal basso

ricoprendo il ruolo di stagista alla Casa Bianca. L’incontro e il successivo

matrimonio con la ricca e influente novantenne Elsa Brecht gli aprirà la strada

tra gli alti ranghi della diplomazia americana. La storia dell’ascesa politica di

Ulrich si intreccia con le indagini su un omicidio che attirerà l’attenzione

dell’opinione pubblica su questa controversa figura. Il tempo presente è

riservato al racconto crime mentre il passato ci racconta la storia di Ulrich dal

suo arrivo a Georgetown. Waltz decide di suddividere la storia in quattro

capitoli, ognuno di essi intitolato con la maschera teatrale che il suo protagonista

deciderà di vestire per adulare i politici che gli si pareranno davanti.

Il debutto alla regia di Waltz non spicca per chissà quali tecniche visionarie

o avanguardistiche; si contraddistingue invece per un’attenzione maniacale al

punto di vista. La prima scena proietta su schermo quello che sembra essere un

sogno in cui Ulrich, intento a ricevere il saluto di alcuni militari, viene

inquadrato da una posizione leggermente ribassata, a conferire alla sua silhoutte

un’imponenza magniloquente. Quando il sogno finisce un piano sequenza ci

porta all’interno della casa dei coniugi in cui si sta svolgendo una festa per una

promozione ottenuta da Mott. La camera sembra seguire il protagonista solo a

tratti per concentrarsi invece sui commenti che si scambiano i convitati. Nel giro

di poche scene viene dato conto allo spettatore sia dello smisurato ego del

protagonista sia, in stridente contrasto, della considerazione che i colleghi hanno

di lui quando gira le spalle. Il tono contrappuntistico che Waltz conferisce alla

vicenda non permette di trarre una linea retta che definisca il confine tra finzione

e realtà, tra giusto e sbagliato, avvolgendo tutto il film in un’atmosfera di

ambiguità.

Di spessore le interpretazioni di Christopher Waltz, Vanessa Redgrave e

Annette Bening, rispettivamente Ulrich Mott, Elsa Brecht e Amanda Brecht,

diffidente figlia di Elsa. Anche il doppiaggio si mantiene su altissimi livelli

soprattutto quando riesce nel simulare le piccole incertezze del tono di un

personaggio non madrelingua come Ulrich.

Contro❌: Nonostante due ottime interpretazioni, i personaggi di Elsa e

Amanda sono nettamente meno approfonditi di Ulrich e, spesso, sembrano

essere trascinate dagli eventi, troppo rispetto alle posizioni che rivestono

all’interno della società (affermata giornalista ormai in pensione e insegnante di

diritto costituzionale ad Harvard). Il rischio di perdersi nella rete di menzogne di

Ulrich è davvero troppo alto per catalogarlo come semplice artificio messo in

gioco dal regista per rispecchiare la confusione di significati che emerge dalla

tortuosa mente del protagonista e la disturbante polifonia a cui siamo dati in

pasto. Sicuramente l’intento originario era questo ma la conseguenza più diretta

è un senso di disorientamento che rischia di inficiare la fruizione della pellicola.

Se è vero che non è possibile estrapolare a fine visione una risposta univoca al

perché un simile evento sia accaduto davvero (come ci ricorda la didascalia

iniziale), la confusione permette di filosofeggiare democraticamente sui

meccanismi di potere e su la loro ferrea gerarchia insidiata da un outsider capace

di aggirarla con il potere affabulatorio della recitazione.

Recensione a cura di Matteo Angelica

Grafica a cura di Giulia Federici



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