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Dark - Stagione 3 | Recensione

Dark è una serie tv tedesca ambientata nella cittadina di Winden, qui si intrecciano le storie di quattro diverse famiglie I Kahnwald, i Nielsen, i Doppler e i Tiedemann. Tutta la serie ruota attorno ad un terribile avvenimento, l'inspiegabile scomparsa di due bambini che nonostante le forsennate ricerche e le investigazioni più accurate dei poliziotti Ulrich Nielsen (Oliver Masucci) e Charlotte Doppler (Stephan Kampwirt), sembrano spariti nel nulla.

Ideatore:Baran bo Odar, Jantje Friese

Attori:Louis Hofmann, Andreas Pietschmann, Maja Schöne, Lisa Vicari, Moritz Jahn, Daan Lennard Liebrenz, Oliver Masucci, Jördis Triebel, Gina Alice Stiebitz

Anno:2017

Paese:Germania

Produzione:Wiedemann & Berg Television

Durata:45 min

Stato:Conclusa


Recensione:

Data di uscita in Italia 🗓️: 27 giugno 2020

Voto: 9/10

Genere📽: fantascienza

Pro🔝La seconda stagione della serie originale Netflix si era conclusa con un

determinante cliffhanger: mentre Jonas piange disperatamente accanto al corpo

esamine della sua amata Martha, apparentemente inconsapevole della singolarità

che stava avanzando implacabile verso di lui, un’altra Martha appare in scena

per portarlo in salvo nel suo mondo. La dimensione in cui viene trasportato il

giovane Kahnwald è completamente diversa da quella che siamo stati abituati a

conoscere, poiché, il 4 novembre 2019, Mikkel non sparirà e ciò vuol dire che in

quella dimensione Jonas non è mai esistito. Le numerose varianti di questo alter

mundus ci vengono presentate dal punto di vista straniante di Jonas, adesso più

reitto che mai: Ulrich ha avuto il coraggio di divorziare da Katharina per iniziare

un rapporto stabile con Hannah; nella famiglia Doppler è Charlotte a

commettere adulterio ai danni di Peter e la figlia muta è Franziska, non

Elisabeth; il caratteristico impermeabile giallo di Jonas qui è indossato da

Martha, provocando nello spettatore un voluto dejà vu (titolo del primo

episodio) che si ripeterà per tutti gli otto episodi. Le differenze tra le due

dimensioni, il mondo di Adam e quello di Eva, sono parecchie, ma entrambe

sembrano legate dallo stesso inquietante destino: l’apocalisse.

Se nelle prime due stagioni lo sviluppo della trama seguiva un andamento

verticale, saltando da un tempo all’altro, adesso le vicende dei personaggi

entrano in comunicazione anche orizzontalmente, sull’asse spaziale. Questa

decisione aveva spaventato molti dei fan della serie, preoccupati che la vastità

degli eventi e la numerosità dei personaggi non avrebbe permesso agli

sceneggiatori di mantenere intatto il filo conduttore sempre saldo e coerente che

aveva reso la serie un punto di riferimento per quanto riguarda lo storytelling. La

visione di questa terza stagione, tuttavia, non fa che confermare il genio di

Baran bo Odar e co. che riescono a mantenere sempre coeso l’impianto narrativo

della serie. La caratteristica che ancora una volta spicca è l’attenzione che viene

rivolta ad ogni singolo personaggio e ad ogni piccolo dettaglio, una caratteristica

di cui la serie non può fare a meno perché funzionale ad un chiaro messaggio

filosofico che più volte i personaggi ricordano all’interno dei loro dialoghi: «la

nostra visione ha un errore di base: ognuno di noi crede di essere un’entità

separata dal resto, un io accanto a innumerevoli altri io, ma la verità non è

questa. Siamo minuscole parti di un infinito tutto». Il dettaglio è importante in

quanto parte di un meccanismo, un tutto che l’uomo tenta disperatamente di

capire e manipolare, ignaro della propria impotenza.

Altro pregio della serie che si è mantenuto costante nel corso degli anni è la

qualità elevatissima della fotografia che anche qui si trasforma adattandosi alle

diverse epoche in cui si svolgono gli eventi, finendo per connotarle

distintamente. Le tonalità prevalenti sono cupe, oscure e omogenee quasi a

comunicare il buio di una prigione in cui, se la luce riesce a filtrare, lo fa solo

per illuminare parzialmente i volti dei personaggi rivelandone i dilemmi

interiori. L’eccellente comparto visivo è accompagnato da una altrettanto

eccellente colonna sonora che ricopre principalmente due funzioni: aumentare la

tensione nei momenti con delle note grevi di ritmo crescente e accompagnare

delle sequenze descrittive che, poco prima della fine dell’episodio, ci

conferiscono una panoramica generale sui personaggi e sulle loro emozioni; in

questo ultimo caso impossibile non citare la qualità di alcuni dei brani

selezionati come In the woods somewhere di Hozier, alla quale si oppone, in un

gioco di specchi, Somewhere over the rainbow.

Non smette mai di sorprendere l’accurato lavoro di casting che riesce a

mantenere i rapporti di somiglianza tra i personaggi e le loro controparti e a non

perdere di qualità, nonostante la disarmante varietà di attori che calcano la

scena.

Il finale non delude sia perché estremamente chiaro ed efficace, sia perché

riesce ad emozionare evitando di ricorrere all’abuso di fasi action per puntare

tutto sui sentimenti dell’uomo, il motore da cui tutto ha avuto inizio. Di forte

impatto emotivo, a proposito, il riferimento ad Interstellar.

Contro❌: difficile trovare magagne in una serie, e in particolare in una

stagione, che davvero difficilmente ha sbagliato un colpo. I più pretenziosi

diranno che si poteva dedicare più tempo e una spiegazione più adeguata al

raggiungimento del momento finale, visti gli otto episodi di più di un’ora

ciascuno. Si potrebbe criticare l’introduzione di una soluzione di raccordo poco

elegante che consiste in una sorta di aspirazione dell’immagine che la porta al

collasso su sé stessa ogni qualvolta si passa da una dimensione all’altra, ma, così

facendo, si finirebbe per trascurare l’attenzione maniacale al montaggio, la base

su cui si costruisce il meccanismo fragile ma perfetto di questi intricati viaggi

interdimensionali. Tirando le somme, la terza stagione di Dark è la degna

conclusione di una delle serie più valide degli ultimi anni, un prodotto che

richiede l’attenzione dello spettatore come parola d’ordine per l’accesso ad un

mondo tanto complesso quanto affascinante, capace di mostrarci la natura

dell’uomo in tutte le sue più dettagliate sfaccettature, attraverso le pieghe del

tempo e dello spazio.

Recensione a cura di Matteo Angelica

Grafica a cura di Giulia Federici

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