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CIAO GIULIA, QUESTI 10 FILM SONO TUOI

Ad un mese dalla scomparsa della ventunenne, Giulia Cecchetin, uccisa per mano del suo ex, proverò a descrivervi come il cinema si sia impegnato a valorizzare il ruolo della donna avvalendomi di 10 film esemplificativi.

In un viaggio cinematografico che va dagli anni ’50 fin ai nostri giorni analizzerò storie di eroine anarchiche e ribelli, madri oppresse dalla società e dallo Stato, da sentimenti paradossali, come la misoginia, il patriarcato e la superstizione religiosa.

Sono film di Giulia, con lei e per lei, perché rimanga sempre viva anche nella “settima arte”.


THELMA & LOUISE, 1991, Ridley Scott


Dopo una discreta distanza da “Easy Rider”, Ridley Scott reinventa il road movie tradizionale, servendosi della fuga delle due protagoniste, che rifiutano un’esistenza costipata quotidianamente in relazioni tossiche con i propri compagni.

Così Thelma e Louise, alla ricerca della libertà, viaggiano verso un deserto rosso, con indimenticabili capelli arancioni. Si ribellano all’uomo che, indossando una giacca anni ’90 e ascoltando il blues, crede di poter “andare oltre” con una ragazza, dopo un semplice ballo, crede di poter andare a prendere la macchina lasciata nel parcheggio per sfogare la propria virilità… forse no!

Con un’insolita ironia Scott ci mostra come le due donne arrivino ad usare la violenza, pur di non essere violentate, mostra il prototipo uomo americano fossilizzato sul raggiungimento di due obiettivi per una vita degna: il denaro e il sesso.

C’è solo una strada per le due eroine, non si può tornare indietro, non si possono trovare compromessi con la giustizia rinnegando il proprio “io”…  ecco le donne forti che affermano la propria identità, donne che sanno reagire e agire.


LE BONHEUR, 1965, Agnès Varda



Colori vividi, una famiglia perfetta, un amore instancabile e il calore di un’estate che trafigge le finestre de l’Ile de France, eppure…

Il legame che i protagonisti, François e Thérèse, e noi con loro, instaurano con la foresta in cui portano i propri bambini è unico, una bolla intima in cui condividono il loro amore, che viene intaccato dall’arrivo di Emilie nella vita dell’uomo.

François si rivela un uomo che, sfacciatamente, vorrebbe prendersi gioco della donna, ingabbiata nel ruolo di oggetto “usa e getta”, intercambiabile a proprio piacimento. La scena in cui l’uomo dorme, dopo aver ottenuto ciò che desiderava, ce lo rivela nella sua dimensione di “egoista”. Si sveglierà tonto dinanzi alle azioni del fuori campo, usato in maniera monumentale dalla regista francese.

La foresta è, ormai, contaminata dal cinismo di François.

Anche lo spettatore, però, è colpevole, complice di François; Pertanto Varda sta denunciando e descrivendo una società maschilista, lasciandoci vedere solo le cose dal punto di vista dell’uomo trionfante e immorale.


DAISIES, 1966, Vera Chytilová



Vera Chytilova, importante regista ceca, con “Daisies” regala al cinema, grazie ad un montaggio formale quasi ejzenstejniano, una storia di due giovani, che non vogliono dare importanza alle cose banali, ma parlano di esistenza e di felicità. La loro comunicazione di volontà d'emancipazione verso gli uomini della borghesia, che ingannano con le proprie forme di seduzione, procede con leggerezza.

Le margheritine, consapevoli di vivere in un mondo crudele, a cui però si adattano, si ribellano ai vizi omologanti della società borghese. Si beffano degli uomini nobili (e del loro cibo), cercando di conquistare un posto nel mondo. Una messa in scena folgorante, che varia dal bianco e nero a colori vividissimi, talvolta stroboscopici. La regista, nonostante ricavi dalla tradizione del cinema (a mio avviso) un po’ gli atteggiamenti dello Charlot di Chaplin, colui che non riesce ad adattarsi al mondo moderno, innova portando sulla scena due ragazzine ribelli, pronte a rompere tutto… anche il cinema stesso.

Adolescenti anarchiche che da bambole “robotiche” (incipit del film) diventano consapevoli di quanto sia importante distruggere quella società e quel mondo.


L’EVENEMENT, 2021, Audrey Diwan



Sorprendentemente (in bene) vincitore del Leone D’Oro al Festival del Cinema di Venezia 2021, “L’evenement” è il viaggio tormentato, un travaglio lungo e doloroso, di Anne, donna icona di libertà, indipendenza e autodeterminazione, più forte di ogni legge statale o etica e sociale. Diwan vorrebbe stordire la propria protagonista: la segue ossessivamente, la stringe col formato 1,33:1, crea claustrofobia, che è l’esatta cosa che vorrebbe fare lo Stato nei suoi confronti. Donna intellettuale e piena di grinta, Anne è ipnotica, ribelle nei confronti della Francia del 1963, ancora troppo arretrata ideologicamente.

E’ un film violento, soprattutto a livello psicologico, ma necessario a capire per cosa è utile combattere, oggi… ancora oggi? Soprattutto oggi.


PIECES OF A WOMAN, 2020, Kornél Mundruczó



Sulla scia del precedente “L’evenement”, “Pieces of a woman” è un altro film che ragiona e parla di maternità, di decomposizione e ricomposizione identitaria di una madre-non madre. Coinvolgente come pochi del suo genere, il film apre gli occhi sul ruolo della donna nella gravidanza, pieno di ansie e pressioni causate dal proprio partner o da persone care, che non tengono conto dei sacrifici e del dolore che può provare una donna.

La solida e commovente Vanessa Kirby è Martha, che in un’odissea ben messa in scena, esplora i silenzi più profondi, i pezzi andati persi e la ricostruzione di una personalità frantumata per via di un dolore immane. E’ accompagnata dal marito Sean, sorprendente Shia LeBouf, in un percorso che vede i due corpi allontanarsi pian piano.

Qui risiede una microcritica ad una società che addossa responsabilità vitali alla donna, aspettative con un gran peso, ma quella ne esce comunque integra ricordando la propria forza ed energia vitale.


PROMISING YOUNG WOMAN, 2020, Emerald Fennell



Provate ad andare in discoteca, sole, fingervi ubriache, sapete già l’epilogo probabilmente…

Ci prova la protagonista del film, Cassandra, colei che nella mitologia greca profetizzava le sventure più terribili (e non veniva ascoltata!), testa il comportamento dell’animale con il grado di istinto sessuale più alto al mondo: l’uomo. Lo stesso che cercherà di portarla a casa e stuprarla dopo i rifiuti della protagonista, che, genialmente e con doti retoriche di livelli ciceroniani, cercherà di creare una coscienza in colui che sembra non averne.

Cassie” è l’angelo vendicatore di chi non è stato ascoltato, vuol punire l’uomo maschilista sì, ma anche gli omertosi, complici delle sue malvagità.

Emerald Fennell, prima volta alla regia, mischia la commedia pop al noir ribaltato, dove la donna non è più la tradizionale vittima, è al centro di un thriller che ci descrive perfettamente la nostra società e soprattutto i “bravi ragazzi” che la dominano.  


HOLY SPIDER, 2022, Ali Abbasi



Mashhad (Iran) è una ragnatela e il ragno più fastidioso che ci vive è un serial killer che si protrae lungo la città di notte con un motorino in cerca di prostitute da ammazzare per “ripulire la società”.

Un thriller violento che analizza i corpi femminili stringendo su essi nei dettagli, che mostra la spietatezza di Saeed e l’innocenza delle donne. Siamo in una società patriarcale proprio perché Saeed è protetto, stimato per ciò che fa, ancora, suo figlio imparerà da lui guardandolo con ammirazione.

Le donne che infangano il nome di Dio (peccando) sono difese dall’eroe estremista, Abbasi,il regista, è magistrale nel descrivercelo come un uomo di famiglia tanto cordiale quanto “vampirico”. Notevole vedere come chi si occupi di scoprire la criminalità dietro queste morti sia una giornalista iraniana, Rahimi, che sfida lo Stato, la Chiesa e qualsiasi tipo di giustizia che vorrebbe tenere nell'oscurità, ancora una volta, il ragno della propria città.


JEANNE DIELMAN, 23, QUAI DU COMMERCE, 1080 BRUXELLES, 1975, Chantal Akerman



Il valore di una storia noiosa, monotona, ripetitiva, lunga 3 ore e 30 è inestimabile.

Akerman, regista femminista di importanza assoluta, mette in scena la quotidianità di Jeanne mostrandoci (letteralmente) ogni istante della sua mondana routine. Lo spettatore è l’ospite d’eccellenza nella casa di Jeanne e anticipa le azioni della padrona di casa fin quando queste ripetizioni non assumeranno un carattere drammatico.

Tutto ciò che fa è dettato dalle filosofie del patriarcato (pelare le patate, cucinare, lavare i vestiti del figlio, etc…) e lo spettatore è annoiato da tutto ciò, ma Akerman lo sa ed è quello il suo obiettivo, annoiarlo e poi… scioccarlo.

Caro uomo, è questa la vita che vuoi per la tua donna e che tu nemmeno osservi?

Bene, allora Jeanne farà i conti con ciò che ha fatto fino a quel momento e dopo 3 ore e 20 di pochissime azioni, diverse l’un dall’altra, si distaccherà violentemente dalla mondanità della sua vita, essere schiavi di quella routine non è più un’opzione!

Pochissimi dialoghi eppure un rumore assordante nell’anima, un film di rimpianti e rimorsi nei confronti di una vita troppo silenziosa.


EL, 1953, Luis Buñuel



La copertina originale del film propone l’immagine di un uomo e una donna di spalle, ma il titolo di questo è “El” (Lui). Basterebbe anche solo questo per suscitare una lecita curiosità legata alla scelta di porre solo il pronome maschile nel titolo.

Luis Buñuel, regista spagnolo anticapitalista fino al midollo, ci racconta la storia di Francisco e Gloria, un matrimonio apparentemente felice, ai limiti della perfezione.

L’uomo, però, che non è mai sazio, mai felice (già in Leopardi, 1819), anzi ossessionato dalla brama di possesso, inizia ad avere delle paranoie assurde (talvolta comiche), tormentato dall’idea di essere tradito. Tormento che ricambierà con tortura mentale e fisica nei confronti di Gloria, giovane donna che prova ad urlare contro la società cosa le sta succedendo, tuttavia senza riscontri; le sue non sono altro che urla povere, misere, inascoltate.

Francisco è un uomo tragicamente debole, un uomo-bambino figlio di un’educazione cattolica (la Chiesa appoggia tutti i suoi comportamenti malsani perché lo ritiene un buon uomo), di una società che ostenta al possesso e che non fa più distinzione tra un oggetto e un essere umano, la donna.

Infine, Francisco è Filippo Turetta, assassino di Giulia, nelle parole del padre di lei (che ha tratto da poesia di Gibran) “…Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno..."


L’AVVENTURA, 1960, Michelangelo Antonioni



Cara Giulia, ti saluto così.

Antonioni nel 1960 aveva analizzato la società alienante degli anni ’60, dove i sentimenti non esistono più, regna l’incomunicabilità, con una vacua e criptica speranza finale.

Semplicissima trama: Anna e Claudia sono amiche, Anna è fidanzata con Sandro, Anna scompare, Sandro e Claudia la iniziano a cercare e finiscono per “innamorarsi” (giallo rovesciato).

Il sesso, topos del film, muove il trio, soprattutto Sandro, in uno scenario in cui le donne sono intercambiabili (come oggetti), spesso mostrate di spalle integrate ai paesaggi della diegesi ("Nessun paesaggio è bello come una donna” dice un pittore nel film), ma i paesaggi di Antonioni sono cupi e vuoti, desolanti. Ecco perché il sesso è qualcosa che si fa per noia, i sentimenti sono contaminati da una totale apatia, di cui soffre su tutti Sandro, uomo che trascina le donne oltre il confine della sofferenza.

Antonioni sembrerebbe descriverci la morte dell’amore, la vacuità dei sentimenti della neo società borghese degli anni ’60, in cui la donna è l’unica ad avere rimorsi e sensi di colpa, sensibile e razionale, ferita dall’uomo predatore.

Proprio nel momento di consapevolezza di un assurdo tradimento, l’uomo piange le sue lacrime da coccodrillo, la donna pone sulla nuca di lui una mano, il segno di una carezza, il segno della (lontanissima) speranza, di un nuovo e auspicabile nuovo inizio, più saggio e razionale.


Ecco Giulia, forse siamo ancora in quella società in cui i sentimenti sono vuoti come i paesaggi, ma forse tu avevi fatto una carezza che simboleggiava perdono, assoluzione… eppure sei stata punita!

Cercheremo noi di lasciarti vivere tra le eroine del cinema e quelle della vita perché non possa esserci più in futuro il bisogno di un articolo del genere, perché non possa esserci più il bisogno di condannare una società in cui un sesso è predominante sull’altro. 








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