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Argentina, 1985: il trionfo del diritto

Argentina, 1985 è il primo film a narrare il processo “Las Juntas”, ci sono voluti così tanti anni per poter arrivare ad un film del genere, ma come ci insegna la Storia e il film, il tempo è relativo, se si vuole si raggiungono grandi risultati, proprio come Julio César Strassera e la sua squadra che in soli 4 mesi si trovarono dinanzi al processo più importante della Storia del proprio Paese. Il film ha vinto il Golden Globe 2023 come miglior film straniero ed è candidato, per la stessa categoria, anche agli #Oscar2023. Riuscirà a battere il quotatissimo “Niente di nuovo sul fronte occidentale" anche in questo caso?

Santiago Mitre mette in scena un’opera teatrale in un vero e proprio teatro (maggior parte delle scene sono state girate in questo). Definibile opera teatrale una pellicola che si sposta in diversi atti, in poche ambientazioni senza mai perdere il filo rosso dominante: vincere un processo storico. E’ un’opera teatrale vedere come l’avvocato Strassera provi l’arringa finale proprio in un teatro, come questo stesso spazio chiuda un cerchio: dal pensare al formare una squadra per il processo alla sentenza di quest’ultimo.

Personalmente ho avuto il piacere di assistere al seminario tenutosi presso la Cineteca di Bologna in cui sono intervenuti avvocati argentini e italiani, l’ambasciata Argentina e lo sceneggiatore del film, Mariano Llinas. In questo incontro, proprio lo sceneggiatore, visivamente commosso, ha sottolineato come una seconda visione del film lo abbia scosso. Ha aggiunto che il film non opina sulla situazione storica, non prende posizione, sono i personaggi che lo fanno, sono i personaggi che parlano, non il film in sé. A proposito di quanto si diceva prima, de la scenografia teatrale, Llinas afferma che hanno girato le scene del processo proprio dove esso è accaduto e, respirare l’aria del set in quel momento, diversamente da quando il film è stato scritto, faceva percepire una stranezza spaventosa, come se ci fossero dei fantasmi in quel luogo. Così fa un elogio al cinema, che mi ha colpito molto, dicendo che si lavora in tutte le arti con i fantasmi, ma nel cinema i fantasmi sono dinanzi alla camera e ciò gli permette di essere al di sopra di tutte le arti. Conclude il suo discorso parlando del fatto che non reputa il film un prodotto culturale essendo che non c’è la verità oggettiva dei fatti dato che la cinepresa gira tante cose che noi non possiamo afferrare, infatti, ci suggerisce di cogliere come aspetto più importante: l’incertezza. Per quanto questa cosa possa essere molto profonda, personalmente, ritengo più adatta la critica del prof. associato di Diritto Penale presso l'Università della Tuscia, Carlo Sottis, che ha proposto la lettura del film-processo in senso sociologico di cui bisognava, ovviamente, selezionare determinate cose. “Non si può filmare il vento, ma solo dei momenti” ed è proprio così, conclude il professore, dicendo che già il titolo racconta tutto: uno spazio e un tempo “Argentina, 1985”.

La storia, anche visivamente, poteva andare anche banalmente sulle scene degli abusi di potere, dei crimini, ecc… forse conquistando, in tal caso, qualche lacrima in più, più di quanto già faccia così. Eppure la scelta di mettere in scena il processo posteriore a questo genocidio (più di 30 mila vittime) è al contempo coraggiosa ed efficace. In quegli anni, come si nota nel film soprattutto nel rapporto del Procuratore aggiunto Luiz Moreno Ocampo e la propria madre, la giunta militare aveva più valore delle leggi e del diritto, o meglio queste erano nascoste nell’ombra della dittatura. Cosa fa allora il regista? Ribalta la situazione, mette in atto proprio il trionfo del diritto, esso produce immagini, dà forma e fa capire il valore della situazione. Se un processo del genere ha potuto prendere forma è proprio grazie ad una continuità temporale che Mitre cura molto bene, da un passato di incertezza all’evoluzione grazie alle testimonianze, allora <<la vitalità argentina può insegnare molto anche alla nostra Italia, che il nostro “nunca mas” non l’abbiamo mai imparato>> (citando prof. Sottis). Un’evoluzione che ha svolto il ruolo decisivo nelle persone della classe media, coloro che non credevano alle ingiustizie che venivano commesse, una volta convinte queste persone, l’ago della bilancia si sarebbe spostato nella parte giusta della Storia.

L’avvocato Strassera (Ricardo Darìn) sembra essere l’eroe nel momento storico più difficile per la comunità Argentina, anche se all’inizio del film è mostrato nei panni di colui che teme un processo Las Juntas, lo teme per ipotetiche minacce alla propria famiglia e se stesso, per la democrazia, che aveva un’ultima chance di sorgere nel proprio Paese e dipendeva da lui. Gli antieroi, invece, sono i nove militari, capi della giunta militare che governarono il Paese dal ’73 al 1983. E’ significativo il fatto che non abbiano un ruolo primario, non c’è una ribellione fisica o qualcosa di simile, questi assumono un ruolo centrale solo nelle loro presentazioni proprio perché Mitre vuol dar rilevanza a ciò che dicono “Non credo nella legittimità di questo tribunale” per mostrare come la loro rigidità, impassibilità non si fermi nemmeno davanti alla sincerità della Legge. Come dicevo prima, il non vedere quei crimini, il non vedere questi antagonisti dell’umanità (non solo del film) dà valore alla parola, infatti la pellicola non azzarda molto visivamente, bensì è innovativo dal punto di vista del dramma misto a commedia. Sì perché a mio parere è la cosa in cui il film riesce completamente, quella sottile, equilibrata ironia che non turba la Storia, la sdrammatizza per poi ricaricarla di pathos in altre circostanze.

Forse un po’ troppo sbrigativo nella narrazione, riesce comunque ad arrivare a tenere col fiato in sospeso lo spettatore, nonostante egli già sappia l’esito della sentenza. L’accento documentaristico è equilibrato, anch’esso, al punto giusto, non si sovrappone molto alla storia, bensì completa le scene che offrono più empatia: quelle delle testimonianze. Il tono con cui Mitre ci racconta questa bellissima favola è molto fresco, innovativo e giovane, proprio come la squadra di Strassera, tant’è che proprio come un ragazzo, egli non è mai sazio, fino alla fine. Il già citato “nunca mas” conclusivo rende lo spettatore ancor più partecipare della storia fino a sentirsi anch’esso argentino… o probabilmente è un film che vale per tutto l’universo, che non restituisce ai genitori delle vittime i propri figli, non lo potrà mai fare, ma li tiene in vita con la memoria incancellabile.




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